domenica 18 luglio 2010

Vendola lancia la candidatura: «Così sfido gli apparati della sinistra e il centrodestra»

Il sole picchia forte nella piccola «Woodstock» di Baia S. Giorgio: niente musica, ma «fabbriche» di ragazzi che si confrontano sui temi di attualità e provano a costruire «la nuova sinistra». Lui, Nichi Vendola, ne è convinto: da questo angolo di mare alle porte di Bari non può nascere un inutile partito della sinistra (che farebbe solo il solletico al transatlantico Pd), ma un movimento che provi ad arginare la deriva del Paese. E il traghettatore-leader ha già preso in mano il timone: questa volta anche gli «apparati», come accaduto in Puglia con le primarie, dovranno seguirlo.

Presidente, a Bari le grandi prove per la leadership del centrosinistra del 2013?

«Siamo di fronte al paradosso: nel momento in cui emerge tutta la feccia di un potere osceno, violento, che ha come proprie sentinelle camorristi e massoni, nel momento in cui c’è uno strappo così forte nel berlusconismo e comincia a percepirsi la caduta, il centrosinistra continua ad essere in affanno. Siamo governati da cannibali, si stanno cibando della nostra Costituzione e dei diritti umani, sociali, di libertà. La nostra è una Repubblica delle Banane, un Paese perduto, che va verso la catastrofe. La destra procede con i carri armati alla devastazione della civiltà giuridica e sociale e il centrosinistra che fa? Arranca, tira fuori formule di governi tecnici improbabili. Non c’è più tempo: bisogna che la sinistra riconnetta la politica con la vita, segua i cartelli segnaletici che indicano Pomigliano e Melfi, la libertà delle donne e la ricerca, il Welfare e il Mezzogiorno, tutti i luoghi oggetto della macelleria sociale della destra: solo così il centrosinistra, invece di sentirsi sconfitto in partenza e aver paura perfino di evocare le elezioni anticipate, potrà smetterla di combattere la destra con la sindrome di Zelig.

Addio partiti, avanti con le «fabbriche»?

Io qui non ho l’alleanza della vittoria, ma ho il motore di un processo politico che spazza via i vizi e le vecchie culture del ceto politico per incrociare la domanda di cambiamento di un popolo e l’idea che si può vincere. Qui, nelle “fabbriche”, non si costruisce un corpo, un partito, un alleanza strutturata: siamo l’alito che consente a un corpo di avere un’anima.

Sì, ma poi bisogna andare alle urne e vincere. Come?

Serve un’allenza e un programma che metta insieme la questione sociale e quella democratica: l’Italia sta diventando un paese del Sudamerica degli anni ‘70. Altro che governi tecnici, qui c’è bisogno di un fronte largo di opposizione democratica e c’è bisogno ora di mettere in piedi il cantiere dell’alternativa del berlusconismo. In ballo non c’è la vittoria alle urne, ma la liberazione della Paese.

Fuori dalla battaglia politica, sembra però non aver retto anche il «fronte» dei governatori contro le politiche del governo che lei accusa.

Ci sono due governatori della Lega che vedono con favore le norme clientelari a favore della Padania in Finanziaria, ma il giudizio sulla manovra è unanime e dice che è insostenibile per qualsiasi regione. È una manovra che smantella il Welfare e lo sviluppo, è una manovra che taglia la vita non gli sprechi, taglia la carne viva del Paese: questo lo dicono Formigoni, Iorio, Caldoro e lo comincia a dire Scoppelliti, governatori del Pdl di Nord e Sud. Gli unici che non lo capiscono sono gli uomini della destra pugliese, il più sublime esempio di alto tradimento delle loro comunità. Gli Azzollini e i Fitto sono dei piccoli gendarmi leghisti e sarebbero imputabili di alto tradimento per quello che hanno fatto con questa Finanziaria, il primo facendosi alfiere dei più vergognosi emendamenti leghisti e il secondo dicendo che è giusto che il Sud perda risorse, perché non le ha sapute spendere bene.

Oltre la manovra, c’è il Patto di stabilità che obbliga la Puglia al rientro.

Noi violiamo quel Patto per la follia delle regole. Per rispettarlo non dovremmo spendere i soldi della spesa comunitaria: significa che nel 2011 non dovremmo spendere nulla di 1,2 miliardi di euro di fondi Ue: se superiamo di 150 milioni di euro la spesa, lo sforiamo. Qualcuno dovrà pure risponderci a questa domanda, che faremo rimbalzare da Bari a Roma a Bruxelles.

E la sanità? Nel 2005 accusò Fitto di tagliare gli ospedali e oggi è costretto a fare lo stesso. Cos’è, una nemesi?

Il razionamento ci è imposto dal governo con una violenza contabile impressionante: non ci chiedono quanti posti letto tagliamo, ma quante risorse corrispondenti riduciamo. Ci impongono i ticket e, nonostante dalla Puglia sia arrivato un piano draconiano, volevano imporci pure le tasse. È una modalità demenziale questo rigore: tre anni di piani di rientro della Sicilia hanno provocato un aumento di 6mila lavoratori precari, così come razionare le risorse un anno significa decuplicare il disavanzo l’anno dopo.

Dunque, tagli agli ospedali come fece Fitto. Non la preoccupa la rivolta delle comunità?

Se fosse vero che sto portando a compimento l’opera di Fitto, la destra pugliese dovrebbe applaudirmi. La verità è che Fitto non ha chiuso neanche un ospedale, ma ne ha resi agonizzanti tanti: ha stressato la domanda di salute per rendere limpido il bilancio. Noi abbiamo invertito il trend: abbiamo coperto col Bilancio autonomo della Regione i disavanzi che si producevano per rispondere al diritto alla salute dei cittadini e abbiamo fatto un’operazione verità sui bilanci. Certo, oggi c’è la manovra di rientro: avrei voluto farla con più gradualità, ma non c’è dubbio che un piccolo ospedale non solo non ha professionalità e tecnologie ma costa di più. I cittadini non vogliono l’ospedale sotto casa, ma la risposta alla domanda di salute. Non tanti ospedalini, ma tanti luoghi di cura: da questo punto di vista continuiamo a perseguire il piano della salute. Abbiamo cominciato e continueremo a spiegarlo alle comunità: i cittadini hanno chiaro ciò che sta accadendo, il delitto che la destra sta compiendo nei confronti del Sud è evidente. Lo sanno tutti e noi lo spiegheremo nel dettaglio.

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