sabato 21 agosto 2010

Internet e la diffidenza della politica

“C’è sotto qualcosa”, dice Umberto Bossi riferendosi al risultato ottenuto dalla mia pagina su facebook, pensoso e preoccupato perché il corpo del re è stato intaccato, ed è vero. Sbaglia solo nel ritenere che quel qualcosa sia sotto, inteso come luogo fisico; c’è qualcosa in senso diffuso e orizzontale nel popolo, c’è una volontà e una richiesta precisa di partecipazione e di cambiamento che si esplicita e prende corpo anche attraverso internet, anche attraverso il web e i social media.

E questo non è per niente chiaro a buona parte del mondo politico italiano che percepisce internet con una buona dose di diffidenza, o al meglio, come una vetrina da sfruttare nelle tornate elettorali.

Probabilmente temono le potenzialità della rete, il suo carattere libero, che sfugge al controllo di chi ha reso questo Paese una Repubblica televisiva fondata sul sondaggio e sul telecomando. Forse è questa idea di libertà che spaventa, forse è la scarsa abitudine al confronto continuo a lasciare stupiti. Abituati come sono a giornali e telegiornali manovrati, che sempre più spesso trasmettono l’immagine immacolata del capo supremo e instillano quotidianamente l’ideologia del ghe pensi mi.

C’è alla base una diversa concezione della politica, un modo antitetico di vivere il rapporto con il popolo, con i cittadini. Ci sono le comunità del rancore create ad arte per individuare i nemici contro cui armare il braccio della propaganda a fini elettoralistici e ci sono comunità consapevoli, libere, che vivono secondo il principio della condivisione e del confronto sulle esperienze di buon governo e di buona politica.

C’è chi parla all’ombelico delle persone e si adatta come una panciera al bassoventre degli interessi particolaristici del nostro paese, proteggendo tornaconti di bottega, affossando i codici civili, il senso della decenza, e scialacquando denaro pubblico per il pagamento delle multe delle quote latte; e c’è chi invece guarda alle nuove generazioni e al loro futuro e pensa sia necessario iniziare a costruire collettivamente qualcosa di diverso, di migliore.

Il risultato ottenuto dalla mia pagina facebook con oltre 230mila persone che hanno scelto di dialogare quotidianamente con me, mi inorgoglisce e penso non possa essere relegato a fenomeno marginale della vita politica del nostro paese, o peggio, a fenomeno di costume.

Questo risultato deve essere letto in maniera molto più approfondita, perché è il segno inequivocabile del cambiamento in atto nella società. Non certo perché la mia persona è oggetto di attenzioni: le adesioni alla mia fan page non riguardano esclusivamente Nichi Vendola. Si tratta piuttosto dell’espressione di un desiderio di partecipazione, dell’adesione a delle idee, a un universo valoriale e a un modo diverso di intendere la politica come impegno civile, come luogo di passioni e di cooperazione. E in tutto questo internet, la rete, la creazione spontanea di comunità hanno un ruolo preciso, direi fondamentale per il futuro non solo dell’Italia, perché catalizzatori di buone esperienze collettive e perché portatori di idee di libertà e di pace.

Questa convinzione mi ha spinto ad aderire, insieme a pochissimi altri politici italiani, alla campagna della rivista Wired per l’assegnazione a internet del Premio Nobel per la pace.

Nichi Vendola

mercoledì 4 agosto 2010

Ossessionati da Vendola

Ma di cos’hanno paura i segretari dei partiti del centrosinistra? In un paese che marcisce e precipita, con una maggioranza in crisi verticale e le mafie al governo, l’unica questione che interroga e affligge Pd, Idv e via cantando è la candidatura di Nichi Vendola alle primarie. Una decina di sondaggi di diversa estrazione danno Vendola vincente su tutti e come unico competitor in grado di affrontare Berlusconi: dovrebbe essere ragione per un encomio solenne. Invece è una guerra di comunicati, uno stillicidio di premesse e di distinguo: Fioroni si vuole bruciare come Jan Palach, D’Alema pretende solo candidati moderati, Veltroni non pervenuto.
Imbarazza soprattutto la privatissima ossessione di Di Pietro che ogni giorni apparecchia sulle agenzie una decina di motivi (suoi) per cui Vendola deve restare a fare il governatore delle Puglie. I maliziosi (e io tra questi) pensano che lo dica solo per paura di smarrire voti e protagonismo a vantaggio di Vendola e della sua parte politica. Che dire? In un paese normale, un leader politico considerato da tutti i sondaggi come il candidato più forte, verrebbe pregato di non ritirare la propria candidatura. In Italia, no. In Italia il centrosinistra preferisce perdere con qualche vecchio babbione piuttosto che vincere con uno che poi magari ci fa un po’ d’ombra.

Claudio Fava