lunedì 26 luglio 2010

La lettera di un operaio Fiat a Marchionne

Caro Sergio,
non posso nascondere l’emozione provata quando ho trovato la sua missiva, ho pensato fosse la comunicazione di un nuovo periodo di cassa integrazione e invece era la lettera del «padrone», anzi, chiedo scusa: la lettera di un collega. Ho scoperto che abbiamo anche una cosa in comune, siamo nati entrambi in Italia. Mi trova d’accordo quando dice che ci troviamo in una situazione molto delicata e che molte famiglie sentono di più il peso della crisi. Aggiungerei però che sono le famiglie degli operai, magari quelle monoreddito, a pagare lo scotto maggiore, non la sua famiglia. Io conosco la situazione più da vicino e, a differenza sua, ho molti amici che a causa dei licenziamenti, dei mancati rinnovi contrattuali o della cassa integrazione faticano ad arrivare a fine mese. Ma non sono certo che lei afferri realmente cosa voglia dire.

Quel che è certo è che lei ha centrato il nocciolo della questione: il momento è delicato. Quindi, che si fa? La sua risposta, mi spiace dirlo, non è quella che speravo. Lei sostiene che sia il caso di accettare «le regole del gioco» perché «non l’abbiamo scelte noi». Chissà come sarebbe il nostro mondo se anche Rosa Lee Parks, Martin Luther King, Dante Di Nanni, Nelson Mandela, Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, Emergency, Medici senza Frontiere e tutti i guerrieri del nonostante che tutti i giorni combattono regole ingiuste e discriminanti, avessero semplicemente chinato la testa, teorizzando che il razzismo, le dittature, la mafia o le guerre fossero semplicemente inevitabili, e che anziché combatterle sarebbe stato meglio assecondarle, adattarsi. La regola che porta al profitto diminuendo i diritti dei lavoratori è una regola ingiusta e nel mio piccolo, io continuerò a crederlo e a oppormi.

Per quel che riguarda Pomigliano, le soluzioni che propone non mi convincono. Aumentare la competitività riducendo il benessere dei lavoratori è una soluzione in cui gli sforzi ricadono sugli operai. Lei saprà meglio di me come gestire un’azienda, però quando parla di «anomalie» a Pomigliano, non posso non pensare che io non conoscerò l'alta finanza, ma probabilmente lei non ha la minima idea di cosa sia realmente, mi passi l’espressione, «faticare».

Non so se lei ha mai avuto la fortuna di entrare in una fonderia. Beh, io ci lavoro da 13 anni e mentre il telegiornale ci raccomanda di non uscire nelle ore più calde, io sono a diretto contatto con l’alluminio fuso e sudo da stare male. Le posso garantire che è già tutto sufficientemente inumano. Costringere dei padri di famiglia ad accettare condizioni di lavoro ulteriormente degradanti, e quel che peggio svilenti della loro dignità di lavoratori, non è una strategia aziendale: è una scappatoia. Ma parliamo ora di cose belle. Mi sono nuovamente emozionato quando nella lettera ci ringrazia per quello che abbiamo fatto dal 2004 ad oggi, d’altronde come lei stesso dice «la forza di un’ organizzazione non arriva da nessuna altra parte se non dalle persone che ci lavorano». Spero di non sembrarle venale se le dico che a una virile stretta di mano avrei preferito il Premio di risultato in busta paga oppure migliori condizioni di lavoro. Oppure poteva concedere il rinnovo del contratto a tutti i ragazzi assunti per due giorni oppure una settimana solo per far fronte ai picchi di produzione, sfruttati con l’illusione di un rinnovo e poi rispediti a casa. Lei dice che ci siete riconoscenti. Ci sono molti modi di dimostrare riconoscenza. Perché se, come pubblicano i giornali, la Fiat ha avuto un utile di 113 milioni di euro, ci viene negato il Premio di produzione? Ma immagino che non sia il momento di chiedere. D’altronde dopo tanti anni ho imparato: quando l’azienda va male non è il momento di chiedere perché i conti vanno male e quando l’azienda guadagna non è il momento di fermarsi a chiedere, è il momento di stringere i denti per continuare a far si che le cose vadano bene.

Lei vuole insegnarci che questa «è una sfida che si vince tutti insieme o tutti insieme si perde». Immagino che comprenda le mie difficoltà a credere che lei, io, i colleghi di Pomigliano e i milioni di operai che dipendono dalle sue decisioni, rischiamo alla pari. Se si perderà noi perderemo, lei invece prenderà il suo panfilo e insieme alla sua liquidazione a svariati zeri veleggerà verso nuovi lidi. Noi tremeremo di paura pensando ai mutui e ai libri dei ragazzi, e accetteremo lavori con trattamenti ancora più più svilenti, perché quello che lei finge di non sapere, caro Sergio, è che quello che impone la Fiat, in Italia, viene poi adottato e imposto da ogni altro grande settore dell’industria.

Spero che queste righe scritte con il cuore non siano il sigillo della mia lettera di licenziamento. Solo negli ultimi tempi ho visto licenziare cinque miei colleghi perché non condividevano l’idea «dell’entità astratta, azienda». Ora chiudo, anche se scriverle è stato bello. Spererei davvero che quando mi chiede se per i miei figli e i miei nipoti vorrei un futuro migliore di questo, guardassimo tutti e due verso lo stesso futuro. Temo invece che il futuro prospettato ai nostri figli sia un futuro fatto di iniquità, di ingiustizia e connotato da una profonda mancanza di umanità. (...) Un futuro in cui si devono accettare le regole, anche se ingiuste, perché non le abbiamo scelte noi. Sappia che non è così, lei può scegliere. Insieme, lei e noi possiamo cambiarle quelle regole, cambiarle davvero, anche se temo che non sia questo il suo obbiettivo (...). A lei le cose vanno già molto bene così. Sappia che non ha il mio appoggio e che continuerò ad impegnarmi perché un altro mondo sia possibile. Buon lavoro anche a lei.

Massimiliano Cassaro

venerdì 23 luglio 2010

E' nato il gruppo consiliare di Sinistra Ecologia Libertà

Nel Consiglio Comunale di Greve in Chianti del 19 luglio 2010, si è costituito formalmente il gruppo consiliare di Sinistra, Ecologia e Libertà (SEL)-con Vendola, composto attualmente dal consigliere Giulio Pecorini, ma aperto a chi voglia aderirvi.
Questa scelta, pur essendo attuata localmente,corrisponde ad un indirizzo nazionale, in vista della trasformazione, dopo il congresso previsto per il prossimo ottobre, di SEL in vero e proprio partito politico.
L’obbiettivo principale di SEL-con Vendola è quello di contribuire alla ricostruzione, culturale e anche organizzativa, di una vasta area di sinistra, senza ulteriori aggettivi, in grado di opporsi in modo alternativo sia al governo Berlusconi che al “berlusconismo” e al “leghismo”. Tuttavia noi non vogliamo, come affermano Bersani e il PD, semplicemente formare uno schieramento che sia la somma di forze politiche democratiche già esistenti, quanto dar vita ad una nuova stagione e strategia politica che rimetta al centro del proprio progetto il lavoro tutto e la questione operaia, lo stato sociale, l’equità fiscale, con la tassazione delle rendite e la conseguente redistribuzione delle risorse, che impedisca la privatizzazione dei saperi, attraverso invece il rilancio della scuola pubblica e dell’università, come elementi fondanti di una cultura diffusa e per tutti, che abbia alla propria base il valore della pace, intesa come ricerca di giustizia sociale e del diritto di ciascun popolo a vivere e progredire in armonia con gli altri popoli. Un’idea, insomma, di globalizzazione opposta a quella imposta e praticata dal capitalismo, che ha prodotto l’attuale crisi ed altre inevitabilmente ne produrrà.
Anche nel Consiglio Comunale di Greve abbiamo seguito, nel costituire il nostro gruppo, questa logica politica, anche nella speranza di dare maggiore forza e vitalità a questa Amministrazione, della quale condividiamo comunque, ad oggi, le scelte di fondo, imprescindibili da legalità e trasparenza, soprattutto in materia urbanistica, di difesa e uso del territorio, di ricerca di soluzione nuove per lo smaltimento dei rifiuti e utilizzo delle energie rinnovabili, di attenzione costante ai problemi del lavoro e occupazionali, non disgiunti però da un’idea dello sviluppo assolutamente compatibile con la salvaguardia del territorio e delle sue risorse e strettamente connesso al tema dei diritti dei lavoratori, indipendentemente dalla loro provenienza e dalla loro etnia.
Il bisogno di un cambiamento radicale in noi è forte e va al di là dell’obbiettivo, pur indispensabile, della sconfitta dell’attuale governo. In questo processo SEL è una forza autonoma, nel progetto e nella sua organizzazione, ed unitaria nella ricerca di alleanze politiche e sociali che ricompongano la frantumazione presente. Una nuova scommessa, che può essere vincente.

domenica 18 luglio 2010

Vendola lancia la candidatura: «Così sfido gli apparati della sinistra e il centrodestra»

Il sole picchia forte nella piccola «Woodstock» di Baia S. Giorgio: niente musica, ma «fabbriche» di ragazzi che si confrontano sui temi di attualità e provano a costruire «la nuova sinistra». Lui, Nichi Vendola, ne è convinto: da questo angolo di mare alle porte di Bari non può nascere un inutile partito della sinistra (che farebbe solo il solletico al transatlantico Pd), ma un movimento che provi ad arginare la deriva del Paese. E il traghettatore-leader ha già preso in mano il timone: questa volta anche gli «apparati», come accaduto in Puglia con le primarie, dovranno seguirlo.

Presidente, a Bari le grandi prove per la leadership del centrosinistra del 2013?

«Siamo di fronte al paradosso: nel momento in cui emerge tutta la feccia di un potere osceno, violento, che ha come proprie sentinelle camorristi e massoni, nel momento in cui c’è uno strappo così forte nel berlusconismo e comincia a percepirsi la caduta, il centrosinistra continua ad essere in affanno. Siamo governati da cannibali, si stanno cibando della nostra Costituzione e dei diritti umani, sociali, di libertà. La nostra è una Repubblica delle Banane, un Paese perduto, che va verso la catastrofe. La destra procede con i carri armati alla devastazione della civiltà giuridica e sociale e il centrosinistra che fa? Arranca, tira fuori formule di governi tecnici improbabili. Non c’è più tempo: bisogna che la sinistra riconnetta la politica con la vita, segua i cartelli segnaletici che indicano Pomigliano e Melfi, la libertà delle donne e la ricerca, il Welfare e il Mezzogiorno, tutti i luoghi oggetto della macelleria sociale della destra: solo così il centrosinistra, invece di sentirsi sconfitto in partenza e aver paura perfino di evocare le elezioni anticipate, potrà smetterla di combattere la destra con la sindrome di Zelig.

Addio partiti, avanti con le «fabbriche»?

Io qui non ho l’alleanza della vittoria, ma ho il motore di un processo politico che spazza via i vizi e le vecchie culture del ceto politico per incrociare la domanda di cambiamento di un popolo e l’idea che si può vincere. Qui, nelle “fabbriche”, non si costruisce un corpo, un partito, un alleanza strutturata: siamo l’alito che consente a un corpo di avere un’anima.

Sì, ma poi bisogna andare alle urne e vincere. Come?

Serve un’allenza e un programma che metta insieme la questione sociale e quella democratica: l’Italia sta diventando un paese del Sudamerica degli anni ‘70. Altro che governi tecnici, qui c’è bisogno di un fronte largo di opposizione democratica e c’è bisogno ora di mettere in piedi il cantiere dell’alternativa del berlusconismo. In ballo non c’è la vittoria alle urne, ma la liberazione della Paese.

Fuori dalla battaglia politica, sembra però non aver retto anche il «fronte» dei governatori contro le politiche del governo che lei accusa.

Ci sono due governatori della Lega che vedono con favore le norme clientelari a favore della Padania in Finanziaria, ma il giudizio sulla manovra è unanime e dice che è insostenibile per qualsiasi regione. È una manovra che smantella il Welfare e lo sviluppo, è una manovra che taglia la vita non gli sprechi, taglia la carne viva del Paese: questo lo dicono Formigoni, Iorio, Caldoro e lo comincia a dire Scoppelliti, governatori del Pdl di Nord e Sud. Gli unici che non lo capiscono sono gli uomini della destra pugliese, il più sublime esempio di alto tradimento delle loro comunità. Gli Azzollini e i Fitto sono dei piccoli gendarmi leghisti e sarebbero imputabili di alto tradimento per quello che hanno fatto con questa Finanziaria, il primo facendosi alfiere dei più vergognosi emendamenti leghisti e il secondo dicendo che è giusto che il Sud perda risorse, perché non le ha sapute spendere bene.

Oltre la manovra, c’è il Patto di stabilità che obbliga la Puglia al rientro.

Noi violiamo quel Patto per la follia delle regole. Per rispettarlo non dovremmo spendere i soldi della spesa comunitaria: significa che nel 2011 non dovremmo spendere nulla di 1,2 miliardi di euro di fondi Ue: se superiamo di 150 milioni di euro la spesa, lo sforiamo. Qualcuno dovrà pure risponderci a questa domanda, che faremo rimbalzare da Bari a Roma a Bruxelles.

E la sanità? Nel 2005 accusò Fitto di tagliare gli ospedali e oggi è costretto a fare lo stesso. Cos’è, una nemesi?

Il razionamento ci è imposto dal governo con una violenza contabile impressionante: non ci chiedono quanti posti letto tagliamo, ma quante risorse corrispondenti riduciamo. Ci impongono i ticket e, nonostante dalla Puglia sia arrivato un piano draconiano, volevano imporci pure le tasse. È una modalità demenziale questo rigore: tre anni di piani di rientro della Sicilia hanno provocato un aumento di 6mila lavoratori precari, così come razionare le risorse un anno significa decuplicare il disavanzo l’anno dopo.

Dunque, tagli agli ospedali come fece Fitto. Non la preoccupa la rivolta delle comunità?

Se fosse vero che sto portando a compimento l’opera di Fitto, la destra pugliese dovrebbe applaudirmi. La verità è che Fitto non ha chiuso neanche un ospedale, ma ne ha resi agonizzanti tanti: ha stressato la domanda di salute per rendere limpido il bilancio. Noi abbiamo invertito il trend: abbiamo coperto col Bilancio autonomo della Regione i disavanzi che si producevano per rispondere al diritto alla salute dei cittadini e abbiamo fatto un’operazione verità sui bilanci. Certo, oggi c’è la manovra di rientro: avrei voluto farla con più gradualità, ma non c’è dubbio che un piccolo ospedale non solo non ha professionalità e tecnologie ma costa di più. I cittadini non vogliono l’ospedale sotto casa, ma la risposta alla domanda di salute. Non tanti ospedalini, ma tanti luoghi di cura: da questo punto di vista continuiamo a perseguire il piano della salute. Abbiamo cominciato e continueremo a spiegarlo alle comunità: i cittadini hanno chiaro ciò che sta accadendo, il delitto che la destra sta compiendo nei confronti del Sud è evidente. Lo sanno tutti e noi lo spiegheremo nel dettaglio.